caso Cucchi è la vicenda giudiziaria e di cronaca che ruota intorno alla morte del geometra romano trentunenne Stefano Cucchi, deceduto il 22 ottobre 2009 durante custodia cautelare. Tale fatto ha dato origine a un celebre caso di cronaca giudiziaria che ha coinvolto alcuni agenti di polizia penitenziaria e alcuni medici del carcere di Regina Coeli.[1] Cucchi era un ragazzo appassionato di boxe[2] ed alcuni anni prima della sua morte era un tossicodipendente in cura presso alcune comunità terapeutiche.
l 15 ottobre 2009 Stefano Cucchi venne trovato in possesso di alcuni grammi di hashish, cocaina e antiepilettici (il giovane era epilettico), in conseguenza di questo venne decisa la custodia cautelare, in questa data il giovane non aveva alcun trauma fisico e pesava 43 chilogrammi (per 176 cm di altezza)[3].
Il giorno dopo venne processato per direttissima, già durante il
processo aveva difficoltà a camminare e a parlare, inoltre aveva degli ematomi
evidenti agli occhi, il giovane parlò con suo padre pochi attimi prima
dell'udienza ma non gli disse di essere stato picchiato. Nonostante le
precarie condizioni del giovane, il giudice stabilì una nuova udienza da
celebrare qualche settimana dopo e stabilì che il giovane avrebbe
dovuto rimanere in custodia cautelare al Regina Coeli[4].
Dopo l'udienza le condizioni del giovane peggiorarono ulteriormente, e venne visitato all'ospedale Fatebenefratelli presso il quale vennero messe a referto lesioni ed ecchimosi alle gambe, al viso (inclusa una rottura della mascella), all'addome (inclusa un'emorragia alla vescica) e al torace (incluse due fratture alla colonna vertebrale).
Venne quindi richiesto il suo ricovero che però venne rifiutato dal
giovane stesso. In carcere le sue condizioni peggiorarono ulteriormente e
morì all'ospedale Sandro Pertini il 22 ottobre 2009, in tale data
Cucchi pesava 37 chilogrammi[4][5].
Dopo la prima udienza i familiari di Stefano Cucchi cercarono a più
riprese di vedere, o perlomeno conoscere le sue condizioni fisiche,
senza successo. La famiglia venne a conoscenza delle condizioni fisiche
di Cucchi quando un ufficiale giudiziario venne a casa loro per chiedere
l'autorizzazione all'autopsia[6].
Dopo la morte di Stefano Cucchi, il personale carcerario fece diverse
dichiarazioni negando di avere esercitato violenza sul giovane e
dicendo che lo stesso era morto o per conseguenze a un supposto abuso di
droga, o a causa di pregresse condizioni fisiche, o per il suo rifiuto
al ricovero al Fatebenefratelli. Lo stesso sottosegretario Carlo Giovanardi dichiarò che Stefano Cucchi era morto soltanto di anoressia e tossicodipendenza (false dichiarazioni delle quali si pentì e per le quali chiese scusa ai familiari del giovane [7][8]).
Nel frattempo, per fermare le illazioni che venivano dette sulla sua
morte, la famiglia pubblicò alcune foto del giovane scattate in obitorio nelle quali erano ben visibili dei traumi da violente percosse e un evidente stato di denutrizione[9].
Durante le indagini circa le cause della sua morte, un testimone
ghanese dichiarò che Stefano Cucchi gli aveva detto che era stato
picchiato, il detenuto Marco Fabrizi chiese di essere messo in cella con
Stefano (che era solo) ma questa richiesta venne negata da un agente
che fece con la mano il segno delle percosse, la detenuta Annamaria
Costanzo affermò che il giovane le aveva detto di essere stato
picchiato, mentre Silvana Cappuccio vide personalmente gli agenti di polizia penitenziaria picchiare Cucchi con violenza [10].
A causare la morte sarebbero stati i traumi conseguenti alle percosse, il digiuno (con conseguente ipoglicemia), la mancata assistenza medica, i danni epatici, e l'emorragia alla vescica che impediva la minzione del giovane (alla morte aveva una vescica che conteneva ben 1,4 l di urina
che aveva già invaso il resto del corpo). Determinante fu l'ipoglicemia
in cui i medici lo avevano abbandonato, questo pericolo si sarebbe
potuto scongiurare anche soltanto con un cucchiaio di zucchero [11].
Stando alle indagini gli agenti di polizia penitenziaria Nicola
Minichini, Corrado Santantonio a Antonio Dominici avrebbero gettato il
ragazzo per terra procurandogli le lesioni toraciche di cui sopra,
infierendo poi con calci e pugni[12].
Oltre agli agenti di polizia penitenziaria, vennero indagati i medici
Aldo Fierro, Stefania Corbi e Rosita Caponnetti che non avrebbero
curato il giovane e che lo avrebbero lasciato morire di inedia. Questi
si difesero dicendo che era il giovane a rifiutare le cure[12].
Gli agenti di polizia penitenziaria sono tuttora indagati per lesioni e percosse (è caduta l'accusa di omicidio colposo), mentre i medici sono indagati per abbandono di incapace[11].
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