giovedì 13 settembre 2012

Israele, la doppia vita delle casalinghe-spie del Mossad

Tel Aviv, 11 settembre - Niente le ferma: non certo i nemici di Israele, ma neppure le mille incombenze della routine familiare. Vivono esistenze parallele, perfettamente a loro agio sia fra le retrovie di Paesi ostili allo Stato ebraico dove agiscono sul filo del rasoio, sia negli asili nido dove nei periodi piu' calmi accompagnano i loro figlioletti. Attorno a loro, nessuno deve conoscere la loro reale attività. Adesso pero' le casalinghe-spie del Mossad, il potente organismo dei servizi segreti israeliani, escono allo scoperto parlando col settimanale femminile Lady Globes. Per loro l'attuale capo del Mossad, Tamir Pardo, ha solo parole di elogio: nello spionaggio, dice, per molti versi le donne sono superiori agli uomini. E un giorno, ne e' persuaso, sara' una di loro ad assumere le leve di comando.

Efrat, vice-capo di un dipartimento del Mossad, ha conosciuto il futuro marito durante una missione di spionaggio. A casa, hanno tre figli: ma lei egualmente insiste per svolgere ruoli attivi. Come lei, anche Ella ha tre figli e cerca di combinare la vita familiare con un'attivita' spericolata. Un'altra super-agente, Yael, pare sia stata ormai praticamente in tutti i Paesi al mondo. ''Ho dovuto combattere davvero - dice a Lady Globes - per proseguire le attivita' operative anche dopo aver partorito. Ci sono voluti anni per convincerli ad accettare. Il mio superiore mi diceva spesso: 'Non posso assumermi la responsabilita' che una mamma non torni a casa' ''. L'agente Efrat ha detto al giornale che lei e le sue colleghe ricorrono quando necessario alle prerogative femminili per raggiungere l'obiettivo. ''Ci sono giochi di seduzione, c'e' il ricorso all'attrazione, ci sono tentativi di eccitare l'altra parte. Ma il limite e' l'atto sessuale vero e proprio. Anche se ritenessimo utile che una di noi andasse a letto con il capo dell'ufficio del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, nessuno al Mossad lo permetterebbe''.

La stima del capo del Mossad nei loro confronti è smisurata. ''Noi prendiamo persone con un livello di intelligenza e con qualita' iniziali identiche - ha osservato - e poi constatiamo una superiorita' operativa delle donne. La loro lettura del terreno e' eccellente, come pure l'analisi delle situazioni e la visione spaziale; tutto cio' in contrasto con gli stereotipi''. Le loro vite, dicono al giornale, ricordano i film di azione di Hollywood, con una differenza: in quelle pellicole i momenti in cui la vita e' sospesa a un filo ''sono una manciata di minuti'', mentre in realta' possono durare anche mesi. Occorrono allora doti psicologiche molto particolari: doti che secondo il capo del Mossad, le sue agenti possiedono in maniera strabiliante. Fra queste: la capacita' di fingere, di improvvisare. Hanno un solo cruccio: non poter raccontare nulla del proprio lavoro. Di ritorno da una lunga missione all'estero - scrive Lady Globes - una delle agenti ha ricevuto da un funzionario una banconota israeliana di notevole taglio da mettere in tasca. Il giorno dopo, tornata ad essere l'israeliana della porta accanto, l'agente segreta e' salita su un autobus: ma il conducente, infastidito perche' non aveva preparato spiccioli per il biglietto, l'ha fatta scendere a terra senza tanti complimenti.



fonte Globalist

le organizzazioni femministe locali condannano duramente le molestie sessuali nel subcontinente indiano: DONNE MOLESTATE SUL LAVORO, TUTELATE!!

Mentre sempre più donne indiane fanno ingresso nel mondo del lavoro, le organizzazioni femministe locali condannano duramente le molestie sessuali nel subcontinente indiano. Ecco dunque che il parlamento indiano, da giorni paralizzato dalle proteste dell'opposizione, ha approfittato di una piccola tregua per adottare un testo che tutela le donne dalle molestie sul posto di lavoro. Così la Camera bassa ha approvato la proposta di legge prima di abbandonare nuovamente i lavori all'ordine del giorno, tra le grida e le arringhe dei deputati del principale partito di opposizione, il Bharatiya Janata Party (Bjp).

Il testo, che dovrà ora essere esaminato dalla Camera alta, riguarda una tutela specifica per le donne che lavorano come collaboratrici domestiche, una delle categorie più vulnerabili del paese. "Sono felice che sia stato adottato questo testo di legge cruciale - ha commentato l'esperto di diritti femminili all'Università di Nuova Delhi, Raghavi Behl -. Le donne hanno il diritto di sentirsi sicure ovunque si trovino". Il testo rafforza inoltre la possibilità per le donne di ricorrere in tribunale in caso di abusi sul posto di lavoro, obbligando i datori a registrare formalmente le loro dipendenti: "Molte donne hanno paura di denunciare gli abusi sessuali, perché temono di perdere il lavoro", ha spiegato R.K.Sethi, responsabile del forum Shakti, sui diritti delle donne a Nuova Dehli. Secondo alcuni studi, una lavoratrice indiana su cinque con meno di 35 anni è stata vittima di un'aggressione da parte del suo superiore o di un collega. Intanto i lavori al parlamento indiano sono paralizzati dal 21 agosto, con il Bjp che chiede la testa del primo ministro Manmohan Singh (ex ministro del Carbone dal 2004 al 2009) dopo la pubblicazione di un rapporto, secondo il quale lo Stato avrebbe perso dal 2004 miliardi di dollari concedendo giacimenti minerari a gruppi privati invece di venderli all'asta.

IN UNGHERIA LA VIOLENZA SULLE DONNE E' LEGALE!!!

La maggioranza conservatrice in Parlamento oggi ha impedito che la violenza contro le donne in famiglia fosse sanzionata dal codice penale. Un movimento di donne aveva raccolto 103 mila firme per obbligare il Parlamento a discutere sul tema in un paese dove ogni anno migliaia di donne subiscono violenze e pestaggi in famiglia. Socialisti e verdi, all'opposizione, raccogliendo l'istanza presentata, volevano far inserire nel codice penale un articolo che punisse gli atti di violenza entro la famiglia, ma la maggioranza governativa, appoggiata dagli estremisti di destra, l'ha impedito, votando contro. Un deputato della maggioranza ha (vergognosamente) detto testualmente:''Le donne, prima di volersi emancipare, se vogliono piu rispetto, partoriscano piu bambini, due o tre, anche quattro, e allora avranno piu' rispetto''. Un altro deputato, estremista, ha parlato di ''odio verso gli uomini'' da parte dei movimenti femministi. Indignazione da parte delle organizzazioni di donne che hanno indetto una manifestazione di protesta per sabato. ''E' intollerabile che la maggioranza governativa spazzi via in tal modo un problema così grave'', hanno affermato in un comunicato.

mercoledì 12 settembre 2012

Novanta donne uccise dall’inizio dell’anno

In aumento la violenza sulle donne e i casi di stalkingOmicidi a seguito di separazione insopportabile: il tarlo della gelosia che consuma, la smania di possesso, l’impossibilità di accettare un abbandono sono tematiche costanti nelle cronache degli ultimi tempi. Dal mese di gennaio al 10 di settembre di quest’anno sono state 90 le donne uccise da uomini che spesso conoscevano, e che – a seguito di una separazione o un rifiuto – hanno deciso di mettere fine alla vita di quelle che dicevano di “amare”. Lo rende noto l’Osservatorio nazionale stalking.
Una decina gli uomini che si sono suicidati dopo aver commesso un omicidio. Il 15 per cento delle donne uccise aveva presentato denuncia per stalking, ma probabilmente sono state molte di più, tra le vittime, le donne perseguitate che non hanno presentato denuncia per paura, perché temono della loro incolumità e di quella dei familiari, per sfiducia nelle autorità, per la difficoltà di far fronte alle inevitabili spese legali.
Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Stalking almeno un persecutore su tre è recidivo, e dopo la denuncia o condanna torna a perseguitare la vittima, spesso con una ferocia maggiore dettata da uno spirito di vendetta che non viene minimamente mitigato dall’intervento delle autorità.
Lo stalker è un individuo che presenta gravi difficoltà ad accettare ed elaborare un abbandono a causa di un disagio psicologico pregresso che deve essere affrontato con specifici strumenti e con l’intervento di psicoterapeuti specializzati. La sola coercizione non desta, nello stalker, la consapevolezza dei suo errori, perché egli non è in grado di prendere autonomamente consapevolezza della lesività del suoi atti.
L’Osservatorio nazionale stalking ha istituito, dal 2007, il Centro presunti autori che ha già risocializzato 200 stalker. Volontari psicologi e psicoterapeuti altamente specializzati, operano, con sedute di psicoterapia, sul presunto autore e sulle sue difficoltà ad elaborare ed accettare un abbandono. Questa è l’unica modalità per stroncare la recidiva del persecutore e permettere alle vittime di tornare a condurre una vita normale.
Grazie al percorso, il 45 per cento degli stalker ha raggiunto un completo contenimento degli atti persecutori, mentre nel 20 per cento dei casi si è verificata una significativa diminuzione dell’attività vessatoria, della recidiva, e la prevenzione degli agiti più gravi. Sarebbe importante prevedere nella legge 612-bis il percorso per il presunto autore per diminuire l’incidenza dello stalking.

NUOVA VIOLENZA SULLE DONNE: STIRAMENTO DEL SENO

90997333-_Bin_.jpgCominciano intorno ai 10 anni: prima che il seno si formi, lo colpiscono, lo schiacciano con pietre calde, lo fasciano in modo dolorosissimo così da ritardarne lo sviluppo. Lo fanno le madri, le nonne, in segreto spesso i padri.

“È per il loro bene”. Così genitori e parenti giustificano la pratica,
assai diffusa soprattutto in Camerun, nei Paesi circostanti e anche fra le immigrate in Occidente: meno evidenti sono i “richiami” sessuali delle ragazze, sostengono, minori sono i rischi di molestie, violenze, gravidanze e malattie a trasmissione sessuale.

In realtà, non solo questa è un’ipocrita ragione addotta a una sopraffazione che ragione non ha se non quella di tenere le figlie sotto controllo. Il fatto è che alla violenza e al dolore si aggiunge spesso il danno grave provocato alla salute: da cisti e inabilità all’allattamento fino al cancro al seno.

Nessuno ne parla, e così lo “stiramento del seno” (in inglese, breast ironing) continua a essere accettato anche dalle sue vittime: per il 41% delle ragazze camerunensi è “opportuno”. Servono campagne di informazione, come quella condotta da Came Women and Girls Development Organisation: anche se meno diffusa dell’infibulazione, questa forma di controllo del corpo femminile non è meno odiosa. E va “stirata”.

Una primavera araba andata a male

La "nuova" Tunisia postrivoluzionaria penalizza la donna in ogni campo: dalla «complementarità» rispetto all'uomo fino al recente aumento del costo della pillola contraccettiva.

Tempi duri per le donne i
n Tunisia. Lo scorso agosto si era prospettata, tra polemiche internazionali e manifestazioni locali, l'eventualità di inserire, nella nuova costituzione del Paese, un articoletto in cui si afferma la «complementarità» della donna rispetto all'uomo. Che già di per sé, a ben ragionare, evocherebbe anche un viceversa non contemplato dall'assemblea costituente che immaginiamo declinata nei virili toni dell'azzurro.
E ora, dopo aver ridotto la donna ad un complemento d'arredo per giunta autopulente, giunge fresca la notizia che in Tunisia, un tempo il più secolarizzato dei Paesi islamici, la pillola anticoncezionale ha sestuplicato il suo costo: dal 1966 il prezzo era fermo all'equivalente di un euro. Ora per un blister ce ne vogliono sei: più che nel disastrato Belpaese. Il sogno della primavera araba, che aveva infiammato il mondo intero, somiglia di più alla spettrale fiammella azzurrina del metano che al fuoco di un autentico rinnovamento.

Mentre il governo tunisino non si fa più carico di una spesa sanitaria evidentemente considerata superflua, l'idea di dove impiegare il denaro risparmiato non poteva essere più in linea con il colore ceruleo della cimiteriale fiamma di cui sopra. È semplice: perché non rimborsare ai contribuenti, al posto della perigliosa pillola contraccettiva, il più necessario Viagra? Medicinale moderno, al passo coi tempi, che in Tunisia non costa che 10 euro. Un prezzo politico per il farmaco originale, quello con la giusta tonalità di azzurro. Il resto lo paga lo Stato.
Dietro la manovra, che ha peraltro alimentato un logico traffico occulto internazionale del farmaco blu, spunta il solito machismo di cui non si sentiva certo la mancanza, qui peraltro appaiato alla smania totalitaristica di controllo sul corpo femminile che si traduce amaramente in un non-controllo delle nascite. Che poi, nei fatti, la prestanza virile non equivalga ad una aumentata fertilità, questo al demagogico governo tunisino di certo non importa: quel che conta è che la donna sia sottomessa.
Come primavera araba non ci siamo proprio: è decisamente troppo psichedelica. Una volta i primi fiori della bella stagione erano rosa, o al massimo bianchi, ma chi ha mai visto un mandorlo blu manco fosse formaggio ammuffito? È proprio vero che non ci sono più le stagioni di una volta.

USA. Reazione popolare contro i microchip RFID

È recentissima la notizia che in alcune scuole americane è partito un progetto pilota per far abituare i bambini ad indossare un microchip RFID durante la permanenza negli ambienti scolastici
, attraverso alcuni gadget come la tessera identificativa scolastica “microchippata”, la divisa scolastica con trasmettitore incorporato e addirittura un collare (!) da indossare proprio come gli animali domestici… Il governo americano vorrebbe garantire “la sicurezza” degli studenti, tracciandone tutti gli spostamenti per ridurre la percentuale di coloro che “marinano” la scuola.

Sono questi i primi passi che il NWO sta muovendo a livello sperimentale per rendere familiare alle nuove inesperte generazioni l’intimo contatto con un microchip capace di monitorare le loro vite. Ebbene forse hanno sbagliato tempistica o valutato male i loro “polli”, perchè negli ultimi giorni questi progetti non hanno fatto altro che scatenare malumori popolari e proteste pubbliche contro l’uso di questa tecnologia.

Le scene che vedete nel video sotto l’articolo sono del tipo che qualche anno fa ci immaginavamo nei film futuristici tipo “Orwell 1984“, ma sono un segno concreto che perfino in America (per eccellenza la patria del controllo di massa) le persone non si fanno mettere nel sacco così facilmente. I microchip sono da decenni nei programmi di controllo del NWO: la strategia per la loro introduzione è graduale, procede poco alla volta per diluire i cambiamenti nel tempo ed attutirne l’impatto emotivo. Se il loro primo passo felpato ha sortito questi effetti sonanti, i nostri “controllori” hanno poco da stare allegri. La gente non dorme più, dovrebbero tenerne conto.

In effetti, se le persone reagiscono in massa come fa nel video la gente di San Antonio, e dimostrano lo stesso livello di consapevolezza, quale scusa potranno mai escogitare per indurre l’impianto di massa? La sicurezza? La salute? No, non funzionerebbero mai per coloro che conoscono la finalità a lungo termine del progetto. Ricordate sempre che la legge del consenso, esplicito o tacito, è alla base delle manipolazioni del NWO. Il potere è sempre stato, e sempre sarà in mano nostra. Attraverso l’arma dell’informazione, (per citare uno dei manifestanti nel video…) facciamo diventare RFID l’acronimo di Revitalize Freedom, Indipendence and Democracy (Rivitalizziamo la Libertà, l’Indipendenza e la Democrazia). Buona lettura dell’articolo originale “More RFID chip resistance”.

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L’associazione “We Are Change” (“Noi Siamo il Cambiamento”, n.d.t.) ha protestato contro l’obbligo per gli studenti della scuola di San Antonio di indossare un collare con un microchip RFID per il tracking (tracciatura degli spostamenti, n.d.t.). L’associazione, i genitori e gli studenti, assieme ai preoccupati concittadini, hanno parlato al consiglio del distretto scolastico indipendente di Northside, facendo presente ai convenuti che ciò rappresenta una violazione dei diritti civili e religiosi dei bambini, oltre a costituire una seria minaccia per la salute.


Il Governo non si cura tanto degli adulti, ormai rigidi nei loro schemi di idee, quanto delle nuove generazioni. Sente il dovere di assoggettarle… ecco perchè il congresso ha reso tutto “legale” molto tempo fa. A proposito, “programma pilota” significa che il progetto arriverà molto presto anche nella vostra nazione, devono solo sciogliere alcuni nodi del loro piano, come per esempio trovare un modo di imporlo anche a quelli a cui non piace.

STIAMO CHIEDENDO UNA MORATORIA PER IL TRACCIAMENTO RFID DEGLI STUDENTI.

Chiediamo perentoriamente al distretto scolastico indipendente di Northside di sospendere immediatamente l’uso della tecnologia RFID per tracciare gli spostamenti degli studenti fino a quando non verrà condotta una valutazione ufficiale dell’impatto sulla sicurezza, sulla salute e sulla privacy. Chiediamo al distretto di:

• Sospendere immediatamente il rilascio delle tessere scolastiche d’identità taggate con microchip RFID, e di ritirare quelle già consegnate;

• Disattivare tutte le apparecchiature di monitoraggio RFID già installate ed in uso nei locali scolastici;

• Notificare formalmente ai genitori degli studenti che la prevista implementazione della tecnologia RFID è stata sospesa in attesa di una valutazione ufficale dell’impatto sulla sicurezza, sulla salute e sulla privacy;

• Indire un incontro pubblico per consentire alle parti interessate di condividere le loro opinioni e le loro preoccupazioni su questo progetto di localizzazione degli studenti;

• Assicurare un clima rispettoso e non discriminatorio per studenti, genitori e membri dello staff che porteranno le loro obiezioni al progetto di tracking RFID adducendo motivazioni religiose e filosofiche.

Il Parlamento europeo riapre le indagini su prigioni segrete della CIA in Europa




STRASBURGO-Martedì 11 settembre, i deputati europei hanno adottato una risoluzione per incitare gli Stati membri dell’Unione europea a indagare sull’esistenza
di prigioni o di strutture segrete sul loro territorio, dove persone avrebbero potuto essere state rinchiuse in virtù del programma segreto della CIA.


Come ci si attendeva, il testo è stato votato da una schiacciante maggioranza (568 voti a favore, 34 contrari e 77 astensioni) .

Fra il 2001 e il 2005 un migliaio di aerei della CIA avrebbero sorvolato il territorio europeo. L’agenzia statunitense avrebbe fatto rinchiudere una ventina di persone, in paesi europei, soprattutto in Polonia e in Romania.

CONFESSA DI AVER ABUSATO DI BAMBINI IN AFRICA

PARIGI - Un prete francese ha confessato di aver commesso atti di pedofilia e si è costituito presso la procura di Clermont-Ferrant, nel sud della Francia. Il prete ha confessato di avere aggredito sessualmente alcuni minorenni mentre si trovava in Africa centrale tra il 2007 e il 2010.
Rientrato in Francia dalla missione si è confidato con l'arcivescovo di Clermont, monsignor Hipplyte Simon, che gli ha consigliato di costituirsi. Lo scorso gennaio il prete ha dunque inviato alla Procura una lettera con le sue confessioni.
Il procuratore Pierre Sennes ha indicato che vi erano descritti «chiaramente atti riprovevoli». La polizia francese, che all'inizio dell'anno ha avviato le indagini in Africa, ha interrogato il prete nei giorni scorsi, il quale ha confermato i fatti. Il religioso si trova ora nel carcere di Saint-Etienne ed è indagato per stupro

CATECHISTA ACCUSATO DI PEDOFILIA

Si aggrava la posizione di Stefano Putzolu, 31enne catechista, arrestato lo scorso 23 aprile per aver tentato di adescare due suoi allievi di 10 e 13 anni, durante una gita.
Da quanto emerso nel corso delle indagini, coordinate dal pm Rita Cariello, il catechista insegnante di musica, avrebbe un altro piccolo scheletro nell'armadio: ci sarebbe un altro presunto episodio di pedofilia, avvenuto due anni fa, dove l'uomo avrebbe abusato di un 13enne.
Il ragazzino, per mesi, dal novembre del 2010 al maggio 2011,avrebbe subito terribili abusi sessuali da parte di Putzulu sia all’interno dell’oratorio di Selargius che durante un ritiro spirituale in un albergo di Solanas. Per adescare la “preda” l’insospettabile catechista dalla doppia vita avrebbe usato sempre la stessa tecnica: il tredicenne sarebbe stato prima convinto con sms sempre più espliciti e poi “ricompensato” ogni volta con piccoli regalini, soprattutto ricariche telefoniche per il cellullare, banconote da cinque o dieci euro e pacchetti di sigarette. Ad aiutare gli inquirenti a svelare il nuovo sconcertante episodio è stata l’ex fidanzata del catechista. Dopo essersi ripresa dalla scoperta-choc di aver flirtato a lungo con un pedofilo senza mai sospettare nulla, si è ricordata del particolare rapporto che Putzulu aveva instaurato con quel tredicenne timido e introverso. Un’amicizia fatta di continui scambi di messaggini e di una confidenza a quel punto diventata molto sospetta.

PEDOFILIA BIMBO VIOLENTATO NEL RIPOSTIGLIO

Un uomo di 45 anni, disoccupato e affetto da disturbi psichici, ha ripetutamente violentato un bambino di 10 anni nel ripostiglio della propria abitazione. I soprusi sono stati scoperti dalla mamma del piccolo che, insospettita da un repentino cambiamento di umore avvenuto nel figlio negli ultimi tempi, divenuto irrequieto e ingiustificatamente nervoso, in un primo momento ha osservato da sola la situazione in casa fino a riuscire a raccogliere una serie di particolari, e a ricostruire in modo sommario ciò che accadeva tra le mura domestiche.

Quindi si è rivolta all'Ospedale di Enna che ha immediatamente girato la segnalazione alle forze dell'ordine facendo partire le indagini. Il 45enne, zio del convivente della madre del piccolo, approfittava dei momenti in cui rimaneva da solo in casa con la sua vittima e lo costringeva a seguirlo nel ripostiglio dove abusava di lui. Secondo le ricostruzioni fatte dagli inquirenti le violenze sessuali sarebbero andate avanti per più di tre mesi.

Dopo essere stato scoperto e interrogato, il 45enne ha confessato gli abusi ed è stato quindi posto in stato di fermo a disposizione dell'autorità giudiziaria. Il bambino, supportato dalla presenza di esperti psicologi e interrogato in ambiente protetto, ha confermato tutte le violenze alle quali è stato sottoposto per tanto tempo. Ora sarà affidato alle cure di medici che avranno il compito di aiutarlo a superare lo shock di quanto subito.

lunedì 10 settembre 2012

Il colpevole silenzio: ancora sulla violenza contro le donne

Violenza sulle donne: un dramma che si consuma in famiglia in oltre 7 casi su 10. Meno del 10% delle vittime la subiscono da uomini estranei e solo il 3% vengono uccise per mano di persone con problemi psichici. Mediamente le donne sopportano violenze e maltrattamenti da mariti e compagni per  8 anni prima di maturare la decisione di denunciarli alle forze dell’ordine. Questi i dati agghiaccianti emersi dall’iniziativa “Il silenzio colpevole: contro la violenza sulle donne” che ha aperto giovedì sera la Festa della CGIL a Imola. Un fenomeno complesso e articolato che nasce  ed evolve nelle viscere del tessuto sociale e famigliare. In particolare il femminicidio matura nelle relazioni famigliari e di convivenza in cui la violenza è già presente a livello psichico ed economico.
Quando le donne rifiutano la dipendenza economica ed il controllo assiduo del marito o del convivente, scatta l’azione omicida che, sempre, avviene in fase di separazione. E’ stata Barbara Spinelli, avvocata, autrice del libro “Femminicidio” a riportare questi dati al numeroso pubblico presente. Esiste una responsabilità istituzionale che passa attraverso l’operato di medici, psicologi, servizi sociali, ai quali spetta riconoscere le situazioni di maltrattamento che preludono ad una violenza definitiva, al fine di fornire un supporto tempestivo e preventivo di danni irreparabili.  Molte altre sono le implicazioni, come il ricatto della perdita dei figli. La soluzione penale non è pertanto sufficiente, occorre una rete di competenze, servizi, relazioni che, complessivamente, si faccia carico di far fronte al fenomeno. In tutte le provincie dell’Emilia Romagna e in altre città esistono ormai protocolli fra le diverse realtà territoriali, dalle istituzioni alle Associazioni delle donne, ai centri antiviolenza. Nel report svolto dall’ONU nei mesi scorsi si raccomanda la valorizzazione dell’esperienza pluriennale centri  e la formazione di una rete per garantire continuità al percorso delle donne che decidono di uscirne. La rete si fa lavorando insieme, ha sostenuto Tiziana Dal Prà, presidente di Trama di Terre e le donne e gli uomini devono poter dire la loro; chi ha competenze e saperi in merito va ascoltato. La democrazia partecipata non può essere solo un enunciato. L’esperienza di Trama di Terre in questi anni, ha evidenziato come ci siano approcci diversi alla violenza nelle diverse culture e da parte delle donne, che spesso hanno difficoltà a leggerla e a riconoscerla. Ogni donna è un caso a sé e va affrontato di conseguenza. Dai dati dell’Osservatorio regionale risulta che la casa delle donne per non subire violenza di Modena ha accolto 281 donne di cui 85 italiane e 196 straniere, il centro “Non da sola” di Reggio Emilia ha ospitato 543 donne di cui 240 italiane e 303 straniere. Spesso con le donne vengono accolti i figli minorenni. Molte sono le situazioni in cui i minori assistono alle ripetute violenze domestiche rischiando di divenire i maschi, adulti violenti e le femmine vittime a loro volta di violenze in età adulta. La politica dunque si deve far carico di un problema che ormai, quotidianamente, produce emergenze di donne e bambini lasciati senza supporto sociale nell’individuazione e nella creazione di risposte concrete all’esigenza di costruire un percorso di vita alternativo. Il contrasto e la prevenzione della violenza sulle donne passa attraverso il riconoscimento della differenza fra i generi , delle competenze di cura storicamente acquisite dalle donne, che oggi le rende più idonee degli uomini a prendersi cura delle altre donne. Questo propone il problema della rappresentanza e della scarsa presenza delle donne nei ruoli manageriali del sistema sanitario, dove sono valorizzate più per cooptazione che per merito anche se numerose sono le operatrici con capacità professionali qualificate. Il tema è quello del potere, posto da Assunta Signorelli, psichiatra dei servizi sanitari di Trieste che ha inoltre osservato come nei casi di violenza contro le donne, che è un reato, si parli sempre delle vittime e quasi mai degli aggressori uomini come invece accade nel caso di altri reati quali il furto o altri casi di omicidio. Il raptus di follia che viene spesso invocato come causa dell’assassinio di una donna è un’attenuante quasi sempre senza  fondamento, che consente alla psichiatria di ritrovare legittimità nella violenza di genere. Insomma c’è ancora moltissimo da fare sia a livello culturale, che sociale, che giudiziario per contrastare un fenomeno ancora troppo diffuso.
(Virna Gioiellieri)

Cronaca sessista e irrispettosa: l'Ordine interviene

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Iran, l’attivismo delle donne finisce dietro le sbarre

Jila Bani Yaghoob, reporter freelance e redattrice capo di Kanoon Zanan Irani, un sito per la difesa e la promozione dei diritti delle donne, è rientrata il 2 settembre nel carcere di Evin, nella capitale Teheran, per scontare una condanna a un anno di detenzione emessa nel giugno 2010 per i reati di “propaganda contro il sistema” e “offesa al presidente”. Al termine della pena, seguiranno 30 anni di interdizione dalla professione giornalistica.
Premio “Coraggio nel giornalismo” dell’International Women’s Media Foundation nel 2009 e premio “Libertà di stampa” di Reporter senza frontiere nel 2010, Jila Bani Yaghoob era stata già processata e assolta tre volte per i medesimi capi d’accusa. Nell’aprile 2011 era stata ulteriormente incriminata per “avere un blog personale senza autorizzazione governativa”.
Nel 2009, poco dopo la contestata rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad, Jila Bani Yaghoob era stata arrestata insieme al marito, Bahman Amou’i, anch’egli giornalista. Era stata rilasciata dopo due mesi. Bahman Amou’i sta invece scontando una condanna a cinque anni di carcere per “riunione e collusione con l’intento di danneggiare la sicurezza nazionale”, diffusione di propaganda contro il sistema”, “minaccia alla pubblica sicurezza” e “offesa al presidente”.
Jila Bani Yaghoob va ad aggiungersi ad altre donne in carcere in Iran per reati di opinione. Martedì scorso è entrata nel suo terzo anno di prigionia Nasrin Sotoudeh, avvocata e attivista per i diritti umani. Sta scontando una condanna a sei anni di carcere (ridotta in appello, dopo che  in primo grado gliene erano stati inflitti 11) per “atti contro la sicurezza nazionale” e “propaganda contro il sistema”. Le è stato anche imputato di far parte del Centro per i difensori dei diritti umani, un organismo fondato dal Nobel per la pace Shirin Ebadi, di cui è stretta collaboratrice. Al termine della pena le sarà inibito l’esercizio della professione legale per 10 anni.
Del Centro per i difensori dei diritti umani faceva parte, fino al momento dell’arresto, anche Narges Mohammadi. Nei suoi confronti, stesse accuse e stessa condanna, in primo e secondo grado, di Nasrin Sotoudeh. In carcere, dove è entrata il 21 aprile di quest’anno, le sue condizioni di salute sono peggiorate (dal 2010, quando trascorse un altro periodo in carcere, soffre di paralisi neuromuscolari temporanee), al punto che il 31 luglio le autorità hanno disposto la sua scarcerazione su cauzione per motivi di salute.
Su cauzione è stata rimessa in libertà, all’inizio di luglio, anche Nazanin Khosravani, 35 anni, giornalista che collabora con varie testate riformiste. Era in prigione da marzo. La condanna nei suoi confronti (sei anni per “raduno illegale e cospirazione contro la sicurezza nazionale” e “propaganda contro il sistema”) rimane in piedi.
Resta in carcere, invece, Mahsa Amrabadimoglie del reporter Masoud Bastani, a sua volta in prigione, condannata a cinque anni (di cui quattro sospesi con la condizionale) per aver rilasciato interviste e scritto articoli a sostegno del marito e in cui chiedeva il suo rilascio.
Stessa sorte per Bahareh Hedayat, attivista della Scuola di economia dell’Università di Teheran, esponente della campagna “Un milione di firme (per l’abolizione delle leggi che discriminano le donne) e dell’organizzazione studentesca Tahkim-e Vahdat. Ha trascorso la maggior parte degli ultimi sei anni in carcere, salvo che per pochi e brevissimi permessi temporanei. Sta scontando una condanna a nove anni e mezzo di carcere per “propaganda contro il sistema”, “interviste concesse a testate straniere”, “offesa alla Guida suprema”, “offesa al presidente”, “disturbo dell’ordine pubblico attraverso la partecipazione a raduni illegali” e “distruzione dell’ingresso e accesso illegale nell’università Amir Kabir”.
Resta poco spazio per elencare altri nomi di prigioniere di coscienza: Fereshteh Shirazi (blogger e attivista della campagna Un milione di firme), Jila Karamzadeh Makvandi (poetessa ed  esponente del movimento delle Madri di parco Laleh), Fariba Kamalabadi (esponente della comunità baha’i) e Hengameh Shahidi… Nessuna di loro ha beneficiato dell’amnistia concessa alla fine del mese sacro del Ramadan dalla Guida suprema, l’Ayatollah Khamenei, ad alcune decine di prigionieri politici e di coscienza.

domenica 9 settembre 2012

USA: il pediatra pedofilo Earl Bradley non uscirà mai di prigione. Parola della Corte Suprema



Earl Bradley
Tutti i ricorsi sono stati respinti, la sentenza è ormai definitiva: Earl Bradley, il pediatra pedofilo condannato a ben 14 ergastoli, non potrà mai tornare in libertà. A stabilirlo ci ha pensato la Corte Suprema dello stato del Delaware, che all’unanimità ha respinto l’ultimo ricorso presentato dall’uomo - relativo a presunte irregolarità nelle perquisizioni dei suoi uffici - ed ha quindi confermato la condanna.
L’uomo, giudicato colpevole di aver abusato sessualmente di almeno 85 bambine, tutte sue pazienti di età compresa tra 1 e 3 anni, dovrà trascorrere il resto della sua vita dietro le sbarre. Massima soddisfazione espressa da Beau Biden, procuratore generale del Delaware:
Earl Bradley non uscirà mai di prigione. Siamo gratificati dalla chiarezza dalla Corte. Il nostro lavoro - occuparci della vittime e delle loro famiglie ed aiutarle a guarire da questo indicibile crimine - non finirà mai.
Il ricorso presentato dai legali del pediatra, è necessario precisarlo, non era relativo alla colpevolezza dell’imputato. Che abbia abusato sessualmente delle sua vittime non ci sono dubbi - esistono i filmati da lui registrati ed archiviati nei suoi computer - ma quello che i legali contestavano era la condotta dagli agenti che hanno trovato le prove ed eseguito l’arresto.
Bradley operava in quattro diversi studi e il mandato di perquisizione era relativo soltanto a due di questi e limitato ai file medici dell’uomo. Gli agenti, invece, andarono oltre controllando tutti e quattro gli studi ed eseguendo una ricerca ben più ampia.
In sostanza, sosteneva la difesa dell’uomo, i militari non erano stati autorizzati a controllare i computer di Bradley. Quelle perquisizioni furono di fatto illegali e gli avvocati dell’ex pediatra speravano che questo particolare potesse portare ad un nuovo processo che si sarebbe svolto senza l’ausilio di quei filmati - vere e proprie prove schiaccianti - sequestrati senza seguire le regole.
Il ricorso, però, è stato respinto e la sentenza emessa in precedenza è diventata definitiva.

Uomo uccide la moglie il giorno dopo il matrimonio

Un uomo è ricercato per aver ucciso la moglie il giorno dopo il matrimonio. Arnoldo Jimenez, 30 anni, avrebbe ucciso Estrella Carrera, 26 anni, sposata il giorno precedente al municipio di Chicago. Dopo il matrimonio la coppia aveva cenato in città con la famiglia e un gruppo di amici, per poi dirigersi a bordo di una limousine a noleggio in un nightclub nel North Side di Chicago. I due sono stati visti per l'ultima volta da amici e familiari alle 4 della mattina.

La donna è stata ritrovata morta nella vasca da bagno del suo appartamento la mattina seguente, uccisa con una coltellata. A scoprire il corpo sono stati i parenti che, preoccupati perché Carrera non era passata a prendere i figli, non riuscivano a mettersi in contatto con lei. La donna è stata ritrovata con lo stesso vestito da cocktail argentato che indossava il giorno precedente.

L'uomo, che è stato visto per l'ultima volta alla guida di una Maserati sedan del 2006, era già stato accusato nel 2003 di violenza domestica. Jimenez è anche il padre del figlio minore della donna uccisa, che ha 2 anni. Carrera aveva anche una figlia di 9 anni. I due, fra alti e bassi, stavano insieme da circa tre anni.

NONNA PARTORISCE LA NIPOTINA: HA PRESTATO L'UTERO ALLA FIGLIA DOPO IL CANCRO

NAPERVILLE - Ha prestato il suo utero alla figlia per poter dare anche a lei la gioia di diventare mamma. Cindy Reutzel, 53 anni di Naperville, nell'Illinois, ha portato in grembo la piccola Elle Cynthia Jordan al posto di Emily, sua figlia, che a causa del cancro non avrebbe mai potuto avere bambini.

Il sogno più grande di Emily, 29 anni, di avere una famiglia non si sarebbe mai avverato se l'amore della madre non lo avesse reso possibile. A causa di un tumore alla cervice uterina, scoperto dalla donna proprio alla scoperta di una precedente gravidanza, ha subito un intervento di isterectomia radicale, con la conseguenza di non poter mai più procreare e il dolore di dover rinunciare alla gravidanza in corso per curarsi.  Poi nove mesi fa la svolta: mamma Cindy ha offerto il suo utero. «Io e mio marito non eravamo sicuri che ce la potesse fare fisicamente. All’inizio non l’abbiamo presa in considerazione, non ci sembrava realistica una cosa del genere», ha detto Emily, ma poi l'idea di avere finalmente un figlio ha prevalso, anche contro i pregiudizi della gente.

Durante le cure per il cancro i medici avevano salvato alcuni ovuli, poi fecondati con lo sperma di Mike e impiantati nell'utero di nonna Cindy. La gravidanza, nonostante l'età della donna, è andata a buon fine e ne è nata Elle Cynthia.

SARA' LA NOSTRA BATTAGLIA: PENE PER GLI STUPRATORI

Petition TitlePer Legge I CITTADINI POSSONO,ATTRAVERSO UNA RACCOLTA DI ALMENO 50.000 FIRME, PRESENTARE al Parlamento (o a un ente amministrativo locale, come la Regione) UN PROGETTO DI LEGGE, affinché questo sia poi discusso E VOTATO. Siamo tutti indignati per la sentenza della Corte di Cassazione sullo stupro di gruppo, per il quale non sarebbe obbligatorio il carcere.
Proponiamo
raccolta firme per consentire per legge come PUNIZIONE per questo crimine la CASTRAZIONE Per ogni tipo di stupro (singolo o di gruppo INDIFERENTEMENTE). Anche a fronte del problema dei carceri cioè l'assenza di posti necessari ad ospitare i cirminali.

Chiudere "Sportello Donna" è un insulto a tutte le donne del Lazio

Chiudere "Sportello Donna" è un insulto a tutte le donne del LazioChe non si trovino i soldi per garantire il funzionamento dello “Sportello donna” all’interno del S. Camillo è un insulto a tutte le donne: quelle che subiscono violenza e a quelle che vi lavorano da due anni per farlo funzionare. Dal 31 ottobre , giorno in cui è scaduta la convenzione con la cooperativa che lo gestisce le 7 operatrici dello sportello (psicologhe, educatrici professionali e assistenti sociali) non prendono un centesimo, ma continuano a lavorare per senso di responsabilità e solidarietà. Nel frattempo la prima donna presidente del Lazio , non ha trovato il modo , dallo scorso ottobre, ne di reperire le risorse ne di prestare attenzione alla struttura. Ha  però trovato quello necessario ad aumentare i vitalizi agli assessori a fare nuove assunzioni part- time per giovani politici locali evidentemente con reddito troppo basso. Ma che Regione è questa della Polverini? Sportello donna  è stato istituito nel 2009 e in due anni ha assistito 700 donne arrivate al pronto soccorso in seguito ai maltrattamenti subiti per lo piu dentro le mura domestiche. La maggioranza è costituta da donne italiane, il 42% da straniere.  Per garantire il suo funzionamento per altri due anni servono 160/180 mila euro. Una somma ridicola. La Presidente dia una sforbiciata al fondo per i manifesti e sostenga concretamente le donne. Permettere la chiusura della struttura è una vergogna.

Gerusalemme, nuovo tentato linciaggio di un palestinese

Ibrahim Abu Taa è stato aggredito da un gruppo di giovani mentre passeggiava assieme ad amici ebrei. Un mese fa era accaduto lo stesso ad un altro ragazzo palestinese

Gerusalemme, 07 settembre 2012, Nena News - Rischiano forte i giovani palestinesi che si recano nella zona ebraica (Ovest) di Gerusalemme, in cerca di svago. Aumentano contr

o di loro le aggressioni e le intimidazioni da parte di gang di giovani israeliani che nutrono un forte sentimento anti-arabo. Due giorni fa, ma la notizia si è appresa solo nelle ultime ore, Ibrahim Abu Taa, 28 anni di Gerusalemme Est (la zona palestinese), è stato assalito e picchiato da sette giovani israeliani alcuni dei quali armati di spranghe.

Abu Taa aveva trascorso la serata in un locale israeliano con amici ebrei quando, per strada, è stato improvvisamente bloccato da alcuni giovani israeliani che hanno intuito che era palestinese. Tra urla, minacce e percosse il giovane per diversi minuti è stato alla loro mercè, mentre i suoi amici chiamavano la polizia. Gli aggressori lo hanno lasciato solo quando hanno visto gli agenti e si sono dileguati, facendo perdere le loro tracce. Abu Taa è stato ricoverato in ospedale.

«Se sei palestinese ora fa paura avventurarsi a Gerusalemme Ovest. Ormai ci vado solo se sono costretto e prima di farlo ci penso due volte», ha detto il giovane alla stampa.

Un mese fa in una piazza centrale di Gerusalemme ovest un gruppo di facinorosi ha tentato di linciare un altro ragazzo palestinese, Jamal Joulani, rimasto per giorni in ospedale privo di conoscenza. Nei giorni successivi la polizia ha arrestato nove giovani (per lo più minorenni) sospettati di aver partecipato all'attacco. In quell'occasione alcuni testimoni riferirono al quotidiano Haaretz che Joulani e altri due palestinesi erano stati circondati da una folla di dozzine di adolescenti israeliani che urlavano «Morte gli arabi» e altri slogan razzisti.

Quell'aggressione avvenne poche ore dopo il ferimento di un'intera famiglia palestinese del villaggio di Nahalin (Betlemme) - padre, madre e tre bambini - e di un autista, per il lancio di una bottiglia incendiaria contro il taxi sul quale stavano viaggiando. L'attacco ebbe luogo all'altezza delle colonie israeliane di Bat Ayin e Kfar Etzion, nel blocco di insediamenti di Gush Etzion. I genitori hanno riportato ustioni di secondo grado, di primo grado i tre figli e l'autista.

I responsabili del lancio della bottiglia incendiaria sarebbero due giovanissini coloni israeliani che vivono nella zona.

SIMULANO ANTICHE TORTURE PER PROTESTA

Santiago del Cile - Un gruppo di attori ha simulato le torture subite sotto la dittatura di Augusto Pinochet per manifestare contro la prima di un documentario sul generale cileno che ne celebrava la figura come salvatore del Cile. La polizia ha usato gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per cercare di disperdere le centinaia di manifestanti anti-Pinochet

L'"incostituzionalità" del matrimonio omosessuale

da Globalist.it

Simpatico (ma non troppo) siparietto tra Rosy Bindi (presidente del Pd e vicepresidente della Camera dei Deputati) ed un esponente omosessuale di Sel che le ha chiesto «Presidente, perché non vuole che mi sposi?». La risposta dell'esponente del Pd è stata «Io ti auguro di fare quello che vuoi ma in questo paese c'è la Costituzione».

La questione costituzionale è stata affrontata dalla Corte con la sentenza 138/2010. La disposizione dell'art. 29 della Costituzione stabilisce, nel primo comma, che «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», e nel secondo comma aggiunge che «il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare».

Alcuni ritengono che l'espressione "società naturale" identifichi la famiglia eterosessuale mentre per la Corte Costituzionale «con tale espressione, come si desume dai lavori preparatori dell'Assemblea costituente, si volle sottolineare che la famiglia contemplata dalla norma aveva dei diritti originari e preesistenti allo Stato, che questo doveva riconoscere» ed inoltre che «i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere "cristallizzati" con riferimento all'epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell'ordinamento, ma anche dell'evoluzione della società e dei costumi». Per la Corte Costituzionale «come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea, benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta. I costituenti, elaborando l'art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un'articolata disciplina nell'ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che, come sopra si è visto, stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso».

Nonostante il concetto di matrimonio e di famiglia presenti nella Costituzione siano quelli legati alla coppia eterosessuale - proprio perché i Costituenti non affrontarono la questione delle coppie omosessuali - ciò non significa che il matrimonio omosessuale sia anticostituzionale perché - per la stessa Corte - la stessa Costituzione è dotata della duttilità dei princìpi costituzionali.
Perciò «spetta al Parlamento, nell'esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d'intervenire a tutela di specifiche situazioni».

Per la presidente del Pd «il matrimonio è un istituto pensato storicamente per gli eterosessuali. Potreste avere più fantasia ad inventarne uno vostro».
Forse - se si guardasse alla storia - ci si accorgerebbe che molte istituzioni erano state storicamente pensate per gli uomini. Fino al 2 giugno del 1946 le donne erano precluse dalla partecipazione politica mentre le forze armate hanno aperto l'accesso alle donne solamente nel 2000: quindi - nonostante molti istituti o istituzioni per secoli fossero stati appannaggio solamente degli uomini - ciò non è stato un ostacolo per riforme radicali e sacrosante.
Inoltre è proprio sicura il presidente Bindi nell'invitare gli omosessuali ad esercitare la loro fantasia per pensare ad un istituto "tutto loro"?
Se fossero liberi di farlo potrebbero pensare anche di adottare un istituto che - seppur non chiamandosi "matrimonio" - abbia tutti i diritti ed i doveri del matrimonio incluso quello di adottare dei bambini. Se invece il Parlamento sentisse la responsabilità della decisione potrebbe benissimo introdurre il matrimonio tra omosessuali ma vietando l'adozione.Per Rosy Bindi sarebbe meglio un matrimonio omosessuale senza la possibilità di adottare o un'unione civile con possibilità di adozione?
Inoltre non dovrebbe essere proprio compito della politica quello di estendere i diritti laddove non entrino in contrasto con altri? Di certo il matrimonio omosessuale non lede nessun diritto altrui come ha stabilito la stessa Corte costituzionale nella citata sentenza.
Se agli omosessuali viene richiesto di inventare un istituto ad hoc per il matrimonio come in una nuova apartheid, forse gli stessi omosessuali potrebbero pensare anche ad un proprio regime fiscale.

A conti fatti un omosessuale non avrà mai bisogno di scuole o università presso cui inviare i propri figli, reparti di ginecologia o pediatria, non potrà usufruire della pensione di riversibilità del defunto partner, ecc.
Se la politica chiede agli omosessuali di inventarsi un istituto giuridico specifico per le loro unioni, perché la stessa politica non adotta un'imposizione fiscale "speciale" considerato che il peso sociale di un omosessuale è inferiore a quello di un eterosessuale?

Abortire nelle Marche? Non si può

La Cgil denuncia che nell'ospedale di Jesi (Ancona) è stato sospeso il servizio di interruzione volontaria di
gravidanza. I 10 ginecologi della struttura, infatti, sono tutti obiettori di coscienza. Stessa cosa è successa a Fano (Pesaro), dove dietro intervento dell'assessore regionale alla sanità Almerino Mezzolani, un ginecologo non obiettore proveniente dall'ospedale di Fabriano dovrebbe garantire nei prossimi giorni il ripristino del servizio.
Nelle Marche, denuncia la Cgil, gli obiettori di coscienza sono il 62% dei ginecologi, il 50% degli anestesisti e il 43% del personale non medico. Inoltre, dati 2009, il 24,7% delle interruzioni di gravidanza richieste da donne marchigiane è avvenuto in altra Provincia e il 9,9% in altra Regione.
Dal punto di vista nazionale le cose non stanno certo meglio: il 70,7% dei ginecologi del servizio pubblico è obiettore, con punte dell'81,7% in Sicilia, 85,2% in Basilicata, 83,9% in Campania, 82,8% in Molise, 80,2% nel Lazio (dati 2009).

Il segretario regionale di Cgil Marche Daniela Barbaresi e il segretario generale della Funzione Pubblica Cgil delle Marche Alessandro Pertoldi dichiarano: «I disagi e le difficoltà nell'attuazione della Legge 194 rischiano di svuotare nei fatti i contenuti della legge e, oltre a colpire le donne in un momento particolarmente difficile e delicato della loro vita, penalizzano anche medici, anestesisti e infermieri non obiettori, che vedono ricadere su di loro tutto il carico delle interruzioni di gravidanza».

Con una scusa carica una minorenne in auto e abusa di lei

Violenza sessuale (Radaelli)Rimini, 8 settembre 2012 - Un romeno di 19 anni è stato arrestato per violenza sessuale su una 16enne. La vicenda risale al 17 giugno 2012, una normale serata di inizio estate, teatro della violenza.
La storia. Bellaria, la ragazza è in compagnia di alcune amichette quando nel gruppo subentra una nuova conoscenza. Lui è un rumeno di 19 anni, biondo, con modi di fare molto affabili. Subito entra in confidenza con le ragazze ma da una è particolarmente attratto. Giunti nei pressi di un locale molto frequentato da giovanissimi, con la banale scusa di aver dimenticato il suo cellulare probabilmente in auto, chiede alla ragazzina di accompagnarlo a recuperarlo. La ragazza ingenuamente accetta. Dopo pochi minuti, fatta salire con l’inganno a bordo della sua auto sportiva, il ragazzo mette in moto e lascia il parcheggio per raggiungere una zona più isolata.
A questo punto comincia a baciare la minore, nonostante lei cerchi di evitare il contatto con le sue labbra; dopodiché le blocca il braccio destro vicino al finestrino, la spoglia dei pantaloncini, ed abusa di lei in maniera non protetta. Il giovane desiste solo dopo aver tentato di continuare l’atto fuori dall’auto allorquando la ragazza riesce a divincolarsi dalla sua presa. La giovane viene allora riaccompagnata al locale da ballo e solo il giorno dopo ha il coraggio di raccontare i fatti accaduti alle amiche che le consigliano di denunciare l’abuso.
Trovata la forza di raccontare il tutto alla madre, la donna parla col marito ed insieme si recano, a tarda ora in caserma, per denunciare l’accaduto. In aiuto ai Carabinieri di Bellaria si aggiungono i militari del Nucleo Operativo e Radiomobile di Rimini che, in poco più di 36 ore riescono ad identificare compiutamente il violentatore, un ragazzo che, nonostante la giovane età, si era già macchiato di fatti analoghi e con lo stesso modus operandi (con una banale scusa aveva attirato un’altra ragazzina in macchina per poi abusarne). Lo straniero, però, impaurito dalla promessa della ragazzina di fargliela pagare si dà alla fuga, rendendosi irreperibile sul territorio nazionale. Successivi e mirati accertamenti consentono agli investigatori di rintracciarlo nel suo paese di origine ove si era recato in attesa che le acque si calmassero.
Da allora sono trascorsi ben tre mesi ma i militari non hanno mai smesso di monitorare la sua abitazione, la cerchia più stretta dei suoi amici al fine di procacciarsi ogni notizia utile per la sua cattura. Nel frattempo nei suoi confronti la Procura di Rimini richiedeva una misura cautelare in carcere che il Giudice per le indagini preliminari subito concedeva e, all’atto dell’irreperibilità, il provvedimento veniva internazionalizzato con il decreto di latitanza. Nella mattinata odierna è stata scritta la parola fine su questa brutta vicenda traendo in arresto il giovane mentre stava per rientrare a casa: oggi stesso è stato tradotto al carcere di Rimini con la pesante accusa di violenza sessuale. Nei prossimi giorni si presenterà davanti al il giudice per l’interrogatorio di garanzia.
 

Pedofilia, anziano adesca 15enne

(ANSA) - TERAMO, 8 SET - Un 75enne e' stato denunciato dai Carabinieri, nel teramano, per atti osceni in luogo pubblico. Ad incastrarlo, gli amici dell'adolescente che aveva adescato sul lungomare di Martinsicuro (Teramo) che lo hanno ripreso con il cellulare mentre si masturbava nella pineta. Il ragazzo, un 15enne, passeggiava in bicicletta sul lungomare quando e' stato avvicinato dall'anziano che gli ha proposto di seguirlo.

Prima condanna penale per un vescovo che ha coperto un prete pedofilo

Robert William Finn, vescovo di Kansas City-Saint Joseph dal 2005KANSAS CITY MISSOURI - Negli Stati uniti cadono condanne penali sui vescovi cattolici come se piovesse. Dopo il caso del vescovo di San Francisco, arrestato per guida in stato d’ebrezza, è il vescovo di un’altra diocesi a finire in tribunale. Non è proprio un protettore di preti pedofili, ma la scarsa sorveglianza e l’esitazione nell’intervenire radicalmente gli è costata carissima. Il vescovo della diocesi di Kansas City-St. Joseph, Missouri, Robert W. Finn, 59 anni,  è il primo vescovo della Chiesa cattolica a subire una condanna per essere stato a conoscenza e avere coperto casi di pedofilia e di pedo pornografia nella sua diocesi. Non solo: col suo silenzio, egli non ha protetto i bambini, che per questo hanno continuato a essere molestati.
 Il fatto è avvenuto in una diocesi, quella di Kansas City-St. Joseph (Missouri), già al centro di grossi scandali di pedofilia avvenuti per interi decenni, tra gli anni 50 e 90. La diocesi, nel 2008, quando Finn ne era già vescovo, devette sborsare 10 milioni di dollari in risarcimenti vari.  Il nuovo caso, avvenuto fra il 2010 e il 2011, è stato tenuto nascosto dal vescovo Finn per almeno cinque mesi: riguarda il sacerdote Shawn Ratigan, di Independence, nel Missouri, reo confesso in un altro processo appena concluso di cinque atti di pedofilia e detenzione di materiale pedo pornografico all’interno del suo computer.
Ratigan ha scattato foto porno di bambini della parrocchia. È andato avanti degli anni. Le sconcertanti fotografie sono state scoperte casualmente da un tecnico che stava riparando il computer del prete: le foto pedo pornografiche erano centinaia ed esponevano genitali di bambini. Il tecnico riferì di quanto aveva visto alla diocesi.  Secondo l’accusa, il vescovo era quindi a conoscenza delle immagini sul computer di don Shawn Ratigan sin dal 16 dicembre 2010. L’accusa ha potuto dimostrare che il vescovo era stato messo in guardia subito.
UN SILENZIO INSPIEGABILE - Se il vescovo avesse segnalato immediatamente il caso alle autorità e alle famiglie, a pagare sarebbe stato uno solo, il prete pedofilo responsabile. Imvece, la mancata segnalazione immediata di casi simili è, negli Stati uniti, un grave reato penale. Finn era è ed a tutti gli effetti il responsabile dei sacerdoti della sua parrocchia. Come dirigente aveva il compito di vigilare.
L’alto prelato, venuto a conoscenza delle foto orribili custodite dal sacerdote, non solo non ha presentato denuncia alla polizia – come sarebbe stato suo obbligo – ma non ha neanche adottato alcuna misura per avvisare parrocchia, famiglie e salvaguardare i bambini che frequentavano i locali della parrocchia del prete. Finn, per la verità, a suo modo era intevenuto. Ma come spessissimo accade tra gli altri prelati a conoscenza di casi del genere, non in modo efficace. Si era limitato a confinare il prete all’interno di un convento e gli aveva proibito di avere contatti con i minori. Sia il provvedimento punitivo nei confronti del prete chiaramente pedofilo, sia la sorveglianza successiva sono stati molto blandi.

SORVEGLIANZA DEBOLISSIMA - Padre Ratigan ha continuato infatti a frequentare picnic con bambini, prime comunioni e altre riunioni sociali. E continuò a scattare le foto porno sino al maggio 2011. La polizia avrebbe accertato che nel tempo trascorso, da dicembre a maggio, oltre cinque mesi, fino a quando non è stato finalmente denunciato alla polizia da altri soggetti responsabili, il prete ha continuato a collezionare “cimeli” raffiguranti bambini nel suo portatile. Scoperto per la seconda volta, padre Ratigan tentò il suicidio ma non morì, fu salvato in tempo.
Il vescovo Finn è stato condannato a pagare una multa di mille dollari e a due anni di libertà vigilata; inoltre, dovrà istituire e finanziare con 10.000 dollari un corso di sostegno psicologico alle vittime del prete e dei casi di pedofilia all’interno degli ambienti ecclesiastici. Prima che venisse letta la sentenza, il vescovo ha detto: «Sono profondamente dispiaciuto per il dolore causato, ma sono grato che l’accusa e la Corte di giustizia abbiano chiuso questa storia».

NON È CHE L’ENNESIMO EPISODIO - Va detto che la diocesi non è nuova a pesanti fenomeni di pedofilia. Nel 2008 la diocesi aveva stipulato un accordo extragiudiziale durante i processi intentati da 47 vittime di abusi sessuali da parte di 12 sacerdoti tra il 1951 e il 1992. La diocesi ha versato 10 milioni di dollari di risarcimenti e si è impegnata a garantire sia assistenza psicologica alle vittime, sia a evitare di raccomandare sacerdoti sotto accusa. Ha poi dovuto ammettere pubblicamente, sul giornale diocesano e su altri mezzi di comunicazione, gli abusi. Robert William Finn è vescovo di Kansas City-Saint Joseph dal 2005, quindi aveva seguito tutto l’iter dei processi per pedofilia che riguardavano la sua diocesi. Non è servito e probabilmente il terrore di essere di nuovo sconfessati ha giocato un brutto scherzo al vescovo Finn.