Violenza sulle donne: un dramma che si consuma in famiglia in oltre 7
casi su 10. Meno del 10% delle vittime la subiscono da uomini estranei e
solo il 3% vengono uccise per mano di persone con problemi psichici.
Mediamente le donne sopportano violenze e maltrattamenti da mariti e
compagni per 8 anni prima di maturare la decisione di denunciarli alle
forze dell’ordine. Questi i dati agghiaccianti emersi dall’iniziativa
“Il silenzio colpevole: contro la violenza sulle donne” che ha aperto
giovedì sera la Festa della CGIL a Imola. Un fenomeno complesso e
articolato che nasce ed evolve nelle viscere del tessuto sociale e
famigliare. In particolare il femminicidio matura nelle relazioni
famigliari e di convivenza in cui la violenza è già presente a livello
psichico ed economico.
Quando le donne rifiutano la dipendenza economica
ed il controllo assiduo del marito o del convivente, scatta l’azione
omicida che, sempre, avviene in fase di separazione. E’ stata Barbara
Spinelli, avvocata, autrice del libro “Femminicidio” a riportare questi
dati al numeroso pubblico presente. Esiste una responsabilità
istituzionale che passa attraverso l’operato di medici, psicologi,
servizi sociali, ai quali spetta riconoscere le situazioni di
maltrattamento che preludono ad una violenza definitiva, al fine di
fornire un supporto tempestivo e preventivo di danni irreparabili.
Molte altre sono le implicazioni, come il ricatto della perdita dei
figli. La soluzione penale non è pertanto sufficiente, occorre una rete
di competenze, servizi, relazioni che, complessivamente, si faccia
carico di far fronte al fenomeno. In tutte le provincie dell’Emilia
Romagna e in altre città esistono ormai protocolli fra le diverse realtà
territoriali, dalle istituzioni alle Associazioni delle donne, ai
centri antiviolenza. Nel report svolto dall’ONU nei mesi scorsi si
raccomanda la valorizzazione dell’esperienza pluriennale centri e la
formazione di una rete per garantire continuità al percorso delle donne
che decidono di uscirne. La rete si fa lavorando insieme, ha sostenuto
Tiziana Dal Prà, presidente di Trama di Terre e le donne e gli uomini
devono poter dire la loro; chi ha competenze e saperi in merito va
ascoltato. La democrazia partecipata non può essere solo un enunciato.
L’esperienza di Trama di Terre in questi anni, ha evidenziato come ci
siano approcci diversi alla violenza nelle diverse culture e da parte
delle donne, che spesso hanno difficoltà a leggerla e a riconoscerla.
Ogni donna è un caso a sé e va affrontato di conseguenza. Dai dati
dell’Osservatorio regionale risulta che la casa delle donne per non
subire violenza di Modena ha accolto 281 donne di cui 85 italiane e 196
straniere, il centro “Non da sola” di Reggio Emilia ha ospitato 543
donne di cui 240 italiane e 303 straniere. Spesso con le donne vengono
accolti i figli minorenni. Molte sono le situazioni in cui i minori
assistono alle ripetute violenze domestiche rischiando di divenire i
maschi, adulti violenti e le femmine vittime a loro volta di violenze in
età adulta. La politica dunque si deve far carico di un problema che
ormai, quotidianamente, produce emergenze di donne e bambini lasciati
senza supporto sociale nell’individuazione e nella creazione di risposte
concrete all’esigenza di costruire un percorso di vita alternativo. Il
contrasto e la prevenzione della violenza sulle donne passa attraverso
il riconoscimento della differenza fra i generi , delle competenze di
cura storicamente acquisite dalle donne, che oggi le rende più idonee
degli uomini a prendersi cura delle altre donne. Questo propone il
problema della rappresentanza e della scarsa presenza delle donne nei
ruoli manageriali del sistema sanitario, dove sono valorizzate più per
cooptazione che per merito anche se numerose sono le operatrici con
capacità professionali qualificate. Il tema è quello del potere, posto
da Assunta Signorelli, psichiatra dei servizi sanitari di Trieste che ha
inoltre osservato come nei casi di violenza contro le donne, che è un
reato, si parli sempre delle vittime e quasi mai degli aggressori uomini
come invece accade nel caso di altri reati quali il furto o altri casi
di omicidio. Il raptus di follia che viene spesso invocato come causa
dell’assassinio di una donna è un’attenuante quasi sempre senza
fondamento, che consente alla psichiatria di ritrovare legittimità nella
violenza di genere. Insomma c’è ancora moltissimo da fare sia a livello
culturale, che sociale, che giudiziario per contrastare un fenomeno
ancora troppo diffuso.
(Virna Gioiellieri)
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