lunedì 27 agosto 2012

Profili inquietanti Indagine shock: siti trappola rivelano la misoginia online.

Ingannevole è il web più di ogni cosa. E nelle sue maglie intricate nasconde zelanti volontari che clonano siti e pagine contro la violenza sulle donne, per lanciare messaggi sessisti (i centri antistupro? Covi del male. Le mogli separate? Sono nazifemministe). Siamo andati a fondo e abbiamo scoperto che oltre al folklore macho c'è di più. E ci riguarda tutti.
«Ho ricevuto una richiesta d'intervista da qualcuno che sostiene di essere una vostra giornalista. Chiedo conferma della sua identità, perché sono continuamente sotto attacco». Questo messaggio, arrivato in redazione, non l’ha scritto un pentito di mafia sotto scorta ma il rappresentante di un’associazione che promuove una campagna contro la violenza sulle donne. Si chiama Davide Insinna, ed è il presidente dellano-profit Nuovi Orizzonti per la quale, qualche tempo fa, ha creato anche una pagina su Facebook chiamata No alla violenza sulle donne. Una volta raggiunte 95mila adesioni, Insinna si è accorto che qualcuno aveva aperto una pagina identica alla sua. Quella che nel linguaggio dei social network si chiama “clonazione”. Stesso nome, stesse immagini, ma concetti diversi, anzi opposti. E c’è sempre una buona parola per gli uomini che alzano le mani, infilata tra foto di gattini. Di lì a poco, la pagina di Insinna è stata soppressa dagli amministratori del social network per troppe segnalazioni negative (da ignoti), anche se i contenuti erano politicamente corretti. Il clone, invece,sta ancora lì e sparge veleni contro le donne. L’ho segnalata e mi è arrivato questo messaggio: «Non c’è motivo di chiusura, non infrange il nostro regolamento». Forse è il caso di fare un viaggio in questo mistero un po′ infernale che, come scopriremo, per fortuna ha “soltanto” tre gironi.
Sono andata a curiosare da vicino.Il suo slogan recita: «No alla violenza, alla calunnia, al femminismo e al maschilismo, no alla censura, no all’alienazione genitoriale e a ogni altro abuso sull’infanzia». Provando però a scrivere un commento, nei panni di una vittima di maltrattamenti, responsabili e utenti mi hanno risposto che «bisogna analizzare i motivi per cui lui ti ha messo le mani addosso », «sei solo un caso sporadico». E mi è stato raccomandato di tenermi alla larga dai centri antiviolenza perché sono una truffa. Insisto. Lancio accuse contro un immaginario compagno violento. La diplomazia va in fumo. Commentano fra loro, come se non fossi più presente. «Ma che cazzo dice questa?». «Per me è alcolizzata». «Ecco come ci ripagano dell’andare a morire in miniera mentre se ne stanno a casa!». La curiosità aumenta e continuo a mettere il naso nella pagina.  Un post spiega come le principali responsabili di violenza sulle donne siano le femministe, che istigano i dissapori nella coppia. E trovo una cover del magazine americano Equality, con strilli che inneggiano alla sottomissione maschile («Come addestrarlo a passare l’aspirapolvere», «Ecco perché un uomo ti deve soddisfare a letto, e non viceversa»), esibita come prova del complotto femminista internazionale. Contatto  Charles Joughin, portavoce americano di Equality, per un chiarimento. Ma quando gli mando la copertina, resta di stucco. «Mai fatta una cover del genere. Noi ci occupiamo dei diritti di categorie discriminate, non siamo una rivista femminista e non usiamo questo linguaggio».
Ma se la cover non l'hanno fatta loro, con tanto di codice a barre, da dove salta fuori? La confusione aumenta. Contatto uno dei gestori della pagina per capirne di più. Lui accetta di parlare purché anonimo e tramite un indirizzo email intestato al Comitato Pari Opportunità. Gli chiedo dove ha sede il comitato e chi è il presidente. Ma lui si appella alla privacy (ignorando che i comitati ufficiosi con almeno dieci membri non possono riunirsi, o incappano nel reato di adunata sediziosa). Segue un sobrio scambio di domande e risposte dove mi spiega che lo scompenso di retribuzioni tra uomo e donna non è del 37%, come “mentono” i dati ufficiali, ma solo del 4%; che i governi italiani hanno sempre favorito le donne; che «il bunga bunga a Berlusconi costa meno del mantenimento della sua ex moglie». E ancora: che «il femminismo italiano di basso livello punta a usare i figli per appropriarsi di case e assegni mensili»; che i centri antiviolenza «fingono di proteggere donne e bambini e calunniano i padri per privarli dei figli»; e che «centinaia di uomini muoiono per mano delle donne, ma la stampa tace».
L’anonimo mi parla poi di Erin Pizzey, 73enne scrittrice inglese, fondatrice dei rifugi per donne maltrattate, che sostiene di aver ricevuto minacce dopo aver affermato che le donne sono violente quanto gli uomini. Quando gli chiedo il perché del successo della pagina (469mila adesioni), risponde che dipende «dal coraggio di aver detto le cose come stanno». Provo allora a interpellare a caso una ventina dei suoi iscritti, e diciassette mi rispondono di aver cliccato “mi piace” ingannati dal titolo e di non essersi mai accorti dei contenuti. Intanto, l’anonimo signore mi fornisce una serie di link che portano a siti con indirizzi che mi sembra di aver già sentito, come iodonna.biz, epressonline.info (no, non è un refuso) che mettono in guardia sulle “nazifemministe”. Che sono colpevoli di inculcare nei bambini la Pas. Cos’è? «È la sindrome di alienazione genitoriale», mi spiega la psicoterapeuta e blogger Roberta Milzoni. «Ovvero quando il bambino non vuole vedere più uno dei due genitori: tra i due, in genere, è il padre. Una reazione che non è necessariamente indotta dalla “mamma cattiva”: il bambino respira il conflitto tra i due e asseconda il rancore della madre, avendola più vicina. Anche se lei non parla male del padre».
Vagando ancora sui siti indicati dall’admin anonimo, trovo articoli su mogli che fanno a pezzi i mariti e le femministe che fanno scoppiare petardi in bocca ai cani. Ma nessun altro notiziario online ne fa cenno. Vorrei sapere dai gestori dei siti quali siano le loro fonti «esclusive», ma risultano tutti registrati tramite un provider che gli garantisce l’anonimato. Mi viene un dubbio (e un brivido): non sarà mica che è tutto in mano a quello stesso giro di persone che gestiscono la pagina clone? Una cosa è certa. Chi è a capo della community, ha capito che, se una volta si diceva «è vero, l’ho sentito in tv», oggi molti abboccano a quello che leggono su internet. E cliccano, commentano, condividono. Spesso, senza verificare.
Ma gestire tutta questa roba è dura.Richiede un dispendio di energie e di soldi, e il livello d’attenzione s’abbassa. Così, durante l’intervista via email, l’anonimo amministratore manda risposte con il suo vero nome e cognome. Che, se non si tratta dell’ennesimo trucchetto fuorviante, corrispondono a un padre toscano abbandonato dalla moglie orientale - una geisha che l’ha deluso?, penso - e assolto da un processo per maltrattamenti, da cui è risultato «incapace di fare del male». L’anonimato serve a non smentire la sentenza? Sarà per lo stesso motivo che affida i commenti più forti all’identità di Lorella Tollastro, un’attrice che per portarsi avanti con il divismo non rilascia interviste. Peccato che non compaia in nessun database cinematografico. Ma un papà pieno di rancore, quanti danni potrà mai fare nella sua ricerca di vendetta? Prima dell’avvento dei social network non molti. Ora, invece, si colloca al secondo livello di una scala di tre, che compone la classe dei neomisogini o mascolinisti. Il primo livello, la base, è composta da banali sessisti. Ci sono i sexist trolls, i dispettosi che intervengono in uno scambio di opinioni tra ragazze e scrivono commenti del tipo: «Che ci fanno tutte  queste donne fuori dalla cucina?». E ci sono quelli che, in un gruppo Facebook di tifoseria, se la ridono per la vignetta di una donna scazzottata dal suo uomo o per il fumetto del tizio che calcia giù dalle scale la fidanzata incinta (la battuta: «Amore, sento un calcetto»). Tutti sintomi di una blanda forma di maschilismo conclamato, di cui, talvolta, non si rendono conto nemmeno quelli al di sopra di ogni sospetto. Di sicuro, la maggioranza di quelli che scherzano sull’argomento non metterebbe mai le mani addosso a una donna e i loro commenti potrebbero solo sembrare di cattivo gusto. Il vero guaio è che, ora, questa categoria rischia di essere strumentalizzata.
E, infatti, arriviamo al secondo livello.Quello composto proprio dai volenterosi attivisti della rete, vedi i gestori della pagina clone e quelli che scrivono gli articoli per i siti amici: ne fanno parte uomini arrabbiati, magari dopo un divorzio, che si trovano disorientati da situazioni di coppia e di famiglia che non sono (o non sono state) come loro le vorrebbero. Fanno proselitismo pascolando tra le distratte pecorelle del livello uno. Lo psicologo Alessandro Vassalli ne traccia un profilo dettagliato. «Esistono due tipi di uomini che ce l’hanno con le donne: quelli che avevano una madre assente, come Schopenhauer, e quelli che hanno sviluppato disprezzo verso una madre che non reagiva alla violenza del padre. Si chiama controidentificazione. Come per dire: “Sto con papà perché tu sei un verme, io sono altro da te”. Succede anche alle donne, ed è per questo motivo che poche di loro reagiscono alle battutacce maschiliste: pensano “non sono come quella che stai sfottendo, io sono migliore”». Ma perché tanto accanimento? «Perché questi uomini non imparano a elaborare il dolore. Rimangono prigionieri della rabbia, che è un sentimento più facile ma li tiene ancorati in modo ossessivo all’esperienza di mortificazione subita. Finiscono per rifugiarsi in un ideale di femmina perfetta che si occupi solo di loro e rimanga a disposizione, qualsiasi cosa accada. Quando invece la compagna si ribella e avanza delle pretese, infrange il loro sogno. E per loro l’unica strada per venirne fuori è la vendetta». “Vendetta” significa anche clonare una pagina Facebook per invitare vittime inconsapevoli a non ricorrere mai ai centri di accoglienza per quelle che vogliono lasciare il loro uomo. Forse perché quei centri, certi uomini li conoscono bene: hanno accolto anche le loro donne in fuga.
E siamo arrivati in cima alla piramide. Sento Vh, amministratrice di una pagina in difesa della donna (si cela dietro una sigla per le minacce ricevute). Se il secondo livello non va sottovalutato, mi dice, il terzo va preso molto sul serio: «Non siamo preoccupati per i sexist trolls, misogini sciocchi, ma innocui. Ci preoccupano gli attivisti online come quello della pagina clone perché negano i dati della violenza, e soprattutto perché fanno il gioco di poteri forti». Poteri forti? Cosa intende? «Quelli che stanno chiedendo la discussione di cinque decreti legge, quattro al Senato e uno alla Camera, per riportare indietro i nostri diritti». Diritti che riguardano il divorzio, l’affido dei figli, gli alimenti. «È un tentativo massiccio di ristabilire la figura del patriarca», conclude Vh. E visto che cercano consensi proprio su internet, la definizione di «Patriarcato 3.0», come dice il giornalista Riccardo Iacona, è azzeccata.  Un patriarcato «che attraverso il femminicidio, l’espressione più grave della sua mentalità, racconta nel piccolo quello che sta succedendo su larga scala». Iacona ha condotto un’inchiesta accurata su quello che sta succedendo in Italia e ha scritto un libro, Strage di donne (Chiarelettere), in uscita a ottobre, che conferma la retromarcia di un percorso sulle pari opportunità che già  va lento. «I femminicidi sono la punta dell’iceberg di una violenza endemica», spiega. «L’Italia è un paese ostile alle donne. L’unico studio sulla violenza di genere è stato fatto dall’Istat nel 2007, su dati del 2006. Il fatto che non ne esista uno recente la dice lunga su quanto la tematica sia bassa nelle priorità della politica». Da quel rapporto si scopriva che solo il 4% delle donne maltrattate sporge denuncia. «Gli assassini si sentono angeli vendicatori contro le legittime pretese proprio delle pari opportunità, visto che la condizione della donna italiana, secondo i dati Ocse, è quasi pari a quella delle tunisine. Lo Stato? Latita. Persino in Spagna, paese dove il problema del machismo è pesantissimo e caldo come da noi, il governo ha lanciato un’intensa campagna d’informazione. Il risultato? Le donne ammazzate, nel 2011, sono calate a 61 contro le 138 vittime italiane. Da noi, solo di recente è stato varato un piano antiviolenza».
Il viaggio è terminato (?!). E arrivare  alla fine è stato difficile. Ora resta da chiedersi come arginare il problema. Di sicuro, non lasciando sole le donne maltrattate, e mettendole in guardia sulle trappole dei siti cattivi. Però. La buona notizia è che nei siti clone e nelle pagine che vi abbiamo raccontato, i due terzi degli iscritti aderiscono per sbaglio e in buonafede. Vuol dire che tantissimi sono sinceramente contrari alla violenza sulle donne. Ed è fra quelli come loro che dobbiamo scegliere, quando decidiamo di amare qualcuno.
Debora Attanasio

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